Obbedienza, Autorità e Magistero
|Padre Pablo Martin Sanguaio
3 Ottobre 2024
Ave Maria!
Carissimi, sempre più diventa necessario avere idee chiare sull’ubbidienza e perciò sull’Autorità e sul Magistero, e quindi come Gesù vuole rendersi presente in vari modi per mezzo nostro. +
Cari fratelli, dopo aver parlato della Santa Chiesa dobbiamo avere idee chiare sull’obbedienza. Per Luisa è stata regola fondamentale di vita, come prima è stata per Gesù, che dice: “L’ubbidienza fu tutto per Me, l’ubbidienza voglio che sia tutto per te. L’ubbidienza mi fece nascere, l’ubbidienza mi fece morire” (01.09.1899) “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil. 2,6-9). E Gesù spiega che cosa è l’obbedienza:
“Vuoi sapere che cosa è l’ubbidienza? L’ubbidienza è la quintessenza dell’amore; l’ubbidienza è l’amore più fino, più puro, più perfetto, estratto dal sacrificio più doloroso, qual è il distruggere sé medesimo per rivivere di Dio. L’ubbidienza, essendo nobilissima e divina, non ammette nell’anima niente di umano e che non sia suo; perciò tutta la sua attenzione è distruggere nell’anima tutto ciò che non appartiene alla sua nobiltà divina, qual è l’amor proprio e, fatto questo, poco si cura che lei sola stenti e fatichi in ciò che appartiene all’anima e l’anima la fa tranquillamente riposare. Finalmente, l’ubbidienza sono Io medesimo” (03,10,1899).
Ma prima di parlare dell’obbedienza, dobbiamo chiarire che cosa è l’Autorità e che cosa è il Magistero.
IL PROBLEMA DELL’AUTORITÀ. Ogni autorità che hanno gli uomini, viene da Dio. L’autorità dei genitori sui figli, quella dello sposo “capo della sposa” (1a Cor 11,3) rispetto ad essa, quella dei governanti sui loro concittadini, quella dei vari pastori nella Chiesa (parroco, Vescovo, Papa).
Sia chiaro, l’autorità non viene dal basso, dal popolo. Dal popolo –dal corpo sociale– può venire una delega a qualcuno che lo rappresenti, ma l’autorità che rappresenta l’autorità di Dio viene da Dio. “Tu non avresti nessun potere [o autorità] su di Me, se non ti fosse stato dato dall’alto”, disse Gesù a Pilato (Gv 19,11). “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (Gc 1,17).
Ma qual è la finalità dell’autorità delegata da Dio, qual è il suo scopo? Quello di aiutare i subordinati a compiere la Volontà di Dio. Ma servirsi dell’autorità (servirsi della Volontà di Dio) per voler imporre la volontà dell’uomo quando si separa dalla Volontà di Dio o quando contraddice la Verità (che viene da Dio) è diabolico. Per questo “Pietro e Giovanni replicarono (ai sommi sacerdoti): «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a Lui, giudicatelo voi stessi; noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato»” (Atti, 4,19-20).
Per tanto, chi ha l’autorità deve stare molto attento per non voler sostituirsi a Dio: “Ascoltate, o re, e cercate di comprendere; imparate, governanti di tutta la terra (…) La vostra sovranità (autorità) proviene dal Signore; la vostra potenza dall’Altissimo, il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi; poiché, pur essendo ministri del suo regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la Legge né vi siete comportati secondo il Volere di Dio. Con terrore e rapidamente Egli si ergerà contro di voi, poiché un giudizio severo si compie contro coloro che stanno in alto. L’inferiore è meritevole di pietà, ma i potenti saranno esaminati con rigore.” (Sapienza 2,1-11)
Un secondo compito dell’autorità è provvedere al vero bene dei dipendenti. Provvedere è prendersi cura, procurare i mezzi che servono –sia per il corpo, che (a maggior ragione) per lo spirito– per raggiungere lo scopo dell’esistenza che Dio ci dà. In altre parole, l’assistenza e la provvidenza di Dio passano anche attraverso l’autorità che Egli concede per il bene comune.
Da tutto questo deriva una conseguenza: che Dio, avendo creato l’uomo a Sua immagine, ha voluto condividere con lui in diverso grado le Sue prerogative. Non soltanto partecipare alla condizione propria del Figlio di Dio come figli (“adottivi”, dice San Paolo), ma anche a quella del Padre, nel dare vita ad altri (vocazione alla paternità e maternità, sia fisica, sia spirituale, a maggior ragione), nell’avere cura e provvidenza di altri, e nel guidare mediante l’autorità gli altri, affinché raggiungano il fine per il quale Dio li ha creati e li ha affidati a chi ha l’autorità. Questo è un tipo di comunione meravigliosa di vita e di amore, alla quale Dio chiama l’uomo.
IL PROBLEMA DELL’OBBEDIENZA. Dice San Paolo nella lettera agli Ebrei, 5,8-9, che Gesù “pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”. La imparò, perché in Cielo non occorre l’obbedienza: tutti vedono così chiara la Verità, che le loro volontà sono perfettamente unite alla Volontà di Dio.
Tutte le difficoltà partono dal confronto tra l’amore a Dio e il nostro “io”: quale delle due cose realmente preferiamo. Tra le varie cose con cui si può mascherare l’amore al proprio “io”, esso si può nascondere persino dietro una pretesa o falsa obbedienza. “Obbedienza al Papa”, dicono alcuni! Ma il primo Papa, San Pietro, disse al Sommo Sacerdote Caifa: “Se sia giusto obbedire a voi più che a Dio, giudicatelo voi stessi” (Atti 4,19).
Occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini quando contraddicono Dio. Non si devono mai confondere autorità e magistero: sono due cose diverse, che dovrebbero andare d’accordo, di pari passo, ma molto spesso non è così. “Non abbiamo alcun potere (o autorità) contro la verità, ma per la verità” (2a Cor 13,9).
Non a tutto è dovuta l’obbedienza, e a tante cose abbiamo il dovere di disubbidire. E l’obbedienza non è dovuta a chiunque e per qualunque cosa. Attenzione! San Paolo dice: “Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!” (Gal 1,6-10).
Dio ci ha dato un tribunale interiore, la nostra coscienza, sul quale nessuno ha autorità, solo Dio. Essere ubbidienti nelle cose giuste è virtù, ubbidire a chi ha un’autorità nelle cose che entrano nella sua competenza è dovere, è cammino di santità, ma servirsi della “Volontà Divina”, cioè, dell’autorità per imporre la propria volontà umana è diabolico! È facile parlare di obbedienza, ma la prima obbedienza è alla Verità. E chi ha l’autorità deve dare l’esempio.
È doloroso vedere come tanti ciechi si fanno guida di altri ciechi e si atteggiano a maestri, quando Uno solo è il Maestro, Gesù Cristo. Nessuno di noi è padrone della Verità, nessuno può dire: “siccome qui comando IO, dico che la verità è quello che piace a me e che dico IO”. Noi possiamo essere solo discepoli e testimoni della Verità. Ma siccome la maggior parte delle persone hanno la tendenza a volere che qualcuno vada davanti e diriga e risolva i problemi, mentre loro vanno dietro, tranquilli, in coda, senza prendersi responsabilità, ecco che a questo “qualcuno” può venire facilmente la tentazione di sentirsi maestro e guida. “Fratelli miei, non vi fate maestri in molti, sapendo che saremo giudicati più severamente” (Gc 3,1).
Papa Benedetto XVI disse il 7 maggio 2005: “Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla Fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo”.
E il 14 aprile 2010: “Il sacerdote non insegna le proprie idee, il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito, non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la Verità, che è Cristo stesso”.
Per conoscere e comprendere le sacrosante e meravigliose verità sulla Divina Volontà, il Signore dice:
“Ascoltatemi, e vi prego, figli miei, di leggere con attenzione queste pagine che vi metto sott’occhio e sentirete il bisogno di vivere della mia Volontà. Io mi metterò vicino quando leggerete, vi toccherò la mente, il cuore, affinché comprendiate e risolviate di volere il dono del mio Fiat Divino” (“Appello del Re Divino”).
Il Signore è geloso di lasciare ad altri il suo posto di Maestro. Lui può avere un suo vicario, per confermare i suoi fratelli nella Verità, il suo rappresentante (che lo rende presente), ma non un sostituto né un successore!
Essere vicario non è essere sostituto, né tanto meno successore. Vuol dire fare le veci di chi ha l’autorità, il quale si rende presente per mezzo del suo vicario. Il vicario non si appartiene, appartiene interamente a colui che lo ha designato, chiamandolo a questa missione. Sommo onore, essere in qualche modo vicario di Dio.
Cristo ha voluto come suo vicario presso la Chiesa Simon Pietro, designato dal Padre. Sia Pietro che tutti i suoi successori non hanno più diritto ad essere se stessi (ecco perché adottano un nome diverso da quello proprio), ma devono essere “Gesù per mezzo loro” (“il dolce Cristo sulla terra”, come Santa Caterina da Siena chiama il Papa). Quindi Pietro rappresenta (= rende presente) Cristo presso la Chiesa, e viceversa, rappresenta la Chiesa, la Sposa, presso Cristo. Ecco perché a Pietro (alla Chiesa) Gesù domanda “mi ami?”, e alla risposta affermativa aggiunge: “pasci i miei agnelli, le mie pecorelle”. Sono miei, non sono tuoi. Tu non sei il padrone della mia Chiesa, ma mi rappresenti. Presso di essa, tu ed Io siamo una sola cosa, il Buon Pastore. Il plurale maiestatico (“noi”) che prima usavano i Papi, non era per essere “maiestatico”, ma perché sono due in uno. Quindi, caro Pietro, tu sei il Vicario di Cristo, ma se volessi in qualche modo sostituirlo (soppiantarlo) nella cura e nella guida del Gregge, diventeresti il vicario dell’anti-Cristo… Il che, in misura minore, si applica a qualsiasi tipo di autorità.
Un secondo vicario ha voluto Gesù: l’apostolo Giovanni, suo vicario presso la sua Madre. E come lui, così noi. La Mamma deve trovare in ognuno di noi il suo unico Figlio, il suo Gesù. Gesù per mezzo nostro, Gesù in ognuno di noi vuole continuare ad onorare e ad amare la sua Mamma e, in Lei, onorare ed amare la Paternità del Padre.
Ma il Padre Divino ha voluto avere un suo vicario “personale” presso Gesù e Maria, ed è il caro San Giuseppe. E come ha fatto le veci del Padre presso i suoi due Tesori, così dal Cielo continua a prendersi cura della santa Chiesa, la sacra Famiglia mistica di Cristo.
Inoltre, tutti noi siamo chiamati ad essere, in diversi modi, vicari suoi presso i nostri fratelli: “Chi accoglie colui che Io manderò, accoglie Me; chi accoglie Me, accoglie Colui che mi ha mandato” (Gv 13,20) “In quel giorno voi saprete che Io sono nel Padre e voi in Me e Io in voi” (Gv 14,20